Andrés Di Tella al Festival dei Popoli
Category : Dai festival
La retrospettiva organizzata dal Festival dei Popoli e curata da Daniele Dottorini ha permesso di apprezzare l’importanza dell’opera di Andrés Di Tella, posto da Paulo Antonio Paranaguá, nel fondamentale volume Cine documental en América Latina,1 tra i documentaristi latinoamericani più rilevanti di tutti i tempi (accanto a Santiago Álvarez e Patricio Guzmán, per citare i più conosciuti in Europa). Oltre alla qualità delle opere presentate, molte delle quali proiettate per la prima volta in Italia, non ha lasciato indifferenti lo spessore del cineasta che, realmente desideroso di condividere riflessioni e ragionamenti sul processo creativo, ha trasformato il tradizionale “dibattito” in una sorta di seminario a puntate, culminato nel workshop conclusivo sul quaderno degli appunti e il film diario.
“Il documentario racconta storie che nessuno sceneggiatore avrebbe potuto inventare“2
Discendente da una importante famiglia argentina di origine italiana, distintasi in campo economico (il nonno, sorta di Agnelli argentino, aveva fondato un impero industriale) e culturale (il padre ha fondato l’Istituto Di Tella, che ha avuto un ruolo fondamentale nella cultura argentina degli ultimi 50 anni), Andrés Di Tella ha studiato a Oxford, ha insegnato in varie università e ha realizzato a partire dagli anni ’80 documentari di stampo tradizionale per la televisione inglese (Channel 4) e americana (WGBH, affiliata di PBS). Questa esperienza gli lascia un senso di frustrazione per i limiti che i documentaristi si autoimpongono, e lo fa “urtare contro le pareti del genere”.3 Ritornato in Argentina nel 1992, realizza negli anni una serie di lungometraggi documentari di impronta sempre più personale, caratterizzati da una miscela originalissima di storia familiare e nazionale, e da una profonda riflessione sul rapporto tra l’autore e la propria opera, tra l’oggetto della ricerca e il processo stesso del ricercare.
Montoneros, una historia (1995): attraverso il racconto di Ana, ex militante dei Montoneros, sopravvissuta alla detenzione nella famigerata ESMA (Escuela de Mecánica de la Armada) durante la dittatura militare argentina, si ricostruisce lo stretto legame tra vita personale e militanza politica di una generazione.
Macedonio Fernández (mediometraggio, 1995) è un viaggio attraverso la Buenos Aires di Macedonio Fernandez, “uomo che rare volte accondiscese all’azione e che visse dedito ai puri piaceri del pensiero”,4 scrittore argentino celebre per l’elogio riservatogli da Borges, che dichiarò di averlo imitato in gioventù fino alla trascrizione e al plagio. A fare da mentore e narratore è lo scrittore argentino Ricardo Piglia.
Prohibido (1997) è una investigazione e una riflessione sui rapporti degli intellettuali e dei media argentini con la dittatura che governò il paese tra il 1976 e il 1983 e che si autodefinì eufemisticamente “Processo di riorganizzazione nazionale”. Attraverso la rievocazione di storie individuali, tra collaborazione, resistenza sotterranea, tragedie personali, si compone un quadro degli anni cupi della dittatura.
La televisión y yo (2003): avendo vissuto all’estero per numerosi anni nella propria giovinezza, al regista mancano buona parte dei riferimenti televisivi posseduti dai suoi coetanei argentini. Di Tella afferma di aver voluto fare un film sul significato della televisione nella vita di una persona; fallito il progetto iniziale, a causa appunto delle lacune nel proprio background televisivo, l’autore si dirige verso un’altra storia che vede emergere durante le proprie ricerche: quella di Jaime Yankelevich, pioniere della televisione argentina. La scarsità di materiali su Yankelevich lo costringe però a cambiare ancora direzione, e si dirige a questo punto verso la storia del nonno, Torcuato Di Tella, la cui impresa, la SIAM, produsse i primi televisori argentini.
Fotografías (2007): non sapere dove il proprio film andrà a parare, tentare varie direzioni, andar incontro a insuccessi, lasciarli nel film perché fanno parte della ricerca, lasciar passare del tempo. Prendere nota per un anno delle idee sull’argomento ogni volta che si presentano, su una serie di taccuini. Ritrovare rileggendo quei taccuini il senso del film. Rimontare i materiali girati come se fossero archivi, in assonanza con il contenuto dei taccuini. Così Di Tella racconta la storia della realizzazione del film Fotografías, una esplorazione delle proprie radici familiari che lo porterà in India, sulle tracce della madre, la psicologa indiana Kamala Apparao. Attraverso un film sull’identità e la famiglia il regista arriva a parlare della storia collettiva.
El país del diablo (2008), presentato lo stesso anno in concorso al Festival dei Popoli, è un viaggio nel sud dell’Argentina, sulle tracce di Estanislao Zeballos, intellettuale e pubblicista, prima fautore dello sterminio degli indios messo in atto nella seconda metà dell’Ottocento, poi studioso della cultura Mapuche – Araucana e antropologo ante litteram. All’inizio compare il territorio vuoto, la Pampa, che reca tracce della storia; poi il regista incontra delle persone, gli ultimi discendenti degli indios, che cercano di preservare quel che è rimasto della loro cultura ancestrale e che, paradossalmente, trovano proprio negli scritti di Zeballos una delle fonti per il recupero delle loro radici.
Hachazos (2011) è un film su e con il cineasta Claudio Caldini, personaggio solitario e dimenticato, autore di film sperimentali in Super 8, realizzati in modo totalmente autonomo e amatoriale. Con una traiettoria di vita complessa, ammiratore di Fischinger, Caldini si è avvicinato da ragazzo al cinema, per un interesse di natura tecnica, sulle orme del padre (un po’ come Alberto Grifi). Il film racconta l’incontro, non sempre facile, tra l’autore e Caldini; le difficoltà fanno però parte del processo di realizzazione, che Di Tella non vuole occultare, essendo programmaticamente contrario alla neutralizzazione e “normalizzazione” del racconto cinematografico.
Dalla sovrabbondanza di materiali raccolti e non utilizzati durante la realizzazione degli ultimi documentari nasce il progetto di realizzare delle installazioni sui temi dei film. Quella dal titolo Fotografías includeva tre schermi: nel primo le vignette di un fumetto pubblicato in Argentina negli anni ’50-’60, Misterix, ambientato in un’India esotica e immaginaria, alla Salgari; nel secondo foto della famiglia italo-argentino-indiana dell’autore; nel terzo immagini tratte da un libro divulgativo pseudo-scientifico dei primi del ’900, People of the World. Anche per Hachazos viene realizzato oltre al film una installazione e un libro: Hachazos. Biografía experimental sobre Claudio Caldini.
Per comprendere il punto di vista di Andrés Di Tella sul cinema documentario si può partire dal suo scritto El documental y yo,5 una dichiarazione di poetica in cui, dopo aver analizzato il ruolo del regista-performer in Rouch, Lanzmann, McElwee, Mograbi e Broomfield, Di Tella conclude che la presenza del documentarista sullo schermo costituisce una tattica che mette in dubbio la pretesa “oggettività” del documentario realizzato con la modalità “fly on the wall” (definita da Di Tella una utopia e una fantasia), sostituendola con una attitudine più onesta e forse più credibile. Ciò non impedisce al regista argentino di identificarsi “con una tradizione che miscela ‘insidiosamente’ il registro documentario e quello drammatico”.6 A caratterizzare i suoi ultimi film infatti, oltre all’elemento “performativo”, secondo la terminologia di Bill Nichols7 cioè il coinvolgimento personale del regista che appare sullo schermo, è anche la presenza di elementi finzionali introdotti allo scopo di poter meglio rappresentare situazioni reali. Ad esempio l’attacco di vertigini sofferto da Di Tella in Fotografías è messo in scena per dare una espressione fisica al disagio e alla resistenza psicologica (reale) da lui provata prima della partenza per l’India. “L’obbligazione etica del documentarista, il patto con lo spettatore, consiste nel raccontare la verità, trovando le forme che riflettano, fino a riprodurla, una determinata esperienza reale del personaggio”.8 Ciò per cui i film di Di Tella restano senz’altro nella memoria dello spettatore è la straordinaria ricchezza semantica che l’autore riesce a estrarre dalla realtà, raccontando più storie allo stesso tempo, senza nascondere i fracasos, ovvero gli insuccessi, spesso carichi di significati: “I am increasingly a believer in the eloquence of mistakes and failures”.9 Il regista quindi non è onnisciente, è al contrario fallibile, proprio come noi, suscitando l’identificazione dello spettatore, e come noi è anche molto curioso: secondo Clara Kriger, Di Tella “sceglie il cinema documentario perché pensa che sia un campo che gli offre la possibilità di dare pienamente sfogo alla sua ‘insaziabile curiosità per il mondo reale delle persone e delle loro storie vere’”.10
Mario Tolomelli
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Il blog di Andrés Di Tella
Il catalogo del Festival dei Popoli 2012 contenente un articolo su Andrés Di Tella e una intervista al regista argentino, entrambi a cura di Daniele Dottorini, uno scritto di Di Tella sul film Hachazos e le schede dei film presentati nella rassegna (pp. 99-153).
Intervista a Andrés Di Tella, a cura di Daniele Dottorini, realizzata nell’ambito del 53° Festival dei Popoli
- Paulo Antonio Paranaguá (a cura di), Cine documental en America Latina, Catedra, Madrid, 2003, pp. 261-266 ↩
- Entrevista a Andrés Di Tella, precursor del documental autobiográfico en la Argentina, a cura di Pablo Piedras e Lior Zylberman, Cine Documental n. 4, anno 2011 ↩
- Andrés Di Tella, El documental y yo, pubblicato originariamente in: Paul Firbas e Pedro Meira Monteiro (a cura di), Andrés Di Tella: Cine documental y archivo personal. Conversación en Princeton, Siglo XXI, Buenos Aires, 2006; poi ristampato in: César Maranghello, Jorge Ruffinelli, Antonio Weinrichter, Casimiro Torreiro (a cura di), El cine documental de Andrés Di Tella, Junta de Andalucía, 2011, pp. 171-180; ristampato anche in: Amir Labaki, Maria Dora Mourão (a cura di), El cine de lo real, Colihue, Buenos Aires, 2011, pp. 55-64 ↩
- J. L. Borges, Tutte le opere, Mondadori, Milano, 1997, vol. 2°, p. 799 ↩
- Andrés Di Tella, El documental y yo, cit. ↩
- Clara Kriger, Andrés Di Tella, in Paranaguá, cit., p. 261 ↩
- Bill Nichols, Introduzione al documentario, Il castoro, Milano, 2006, p. 137-143 (nella traduzione italiana “The performative mode” è tradotto “La modalità rappresentativa”) ↩
- Entrevista a Andrés Di Tella, precursor del documental autobiográfico en la Argentina, cit. ↩
- Andrés Di Tella, The Curious Incident of the Dog in the Nighttime, in Alisa Lebow (a cura di), The cinema of me. The Self and Subjectivity in First Person Documentary, Wallflower, London, 2012, p. 40 ↩
- Clara Kriger, cit., p. 261 ↩